In un Paese sempre più fragile, dove vengono al mondo sempre meno
bambini, i primi 1000 giorni di vita rischiano di essere un percorso a
ostacoli che lascia indietro i più fragili.
È a loro, ai piccolissimi, che è dedicato il XV Atlante dell’Infanzia (a rischio).
Proprietà artistica e letteraria riservata ©Save the Children
A cura di: Patrizia Luongo e Eleonora Tantaro
Foto di copertina: iStock.com/Juanmonino
Pubblicato da Save the Children, Novembre 2024
L’Italia è ormai un Paese dalle culle vuote, in cui il saldo tra la popolazione è in negativo. Si muore più di
quanto non si venga al mondo: da qualche anno ormai nascono meno di 400mila bambini e bambine
all’anno. 379mila nel 2023, a fronte di 660 mila decessi. E questo saldo dal segno meno da anni non
riesce ad essere più compensato dall’immigrazione.
La conoscenza sempre maggiore che si è diffusa sull’importanza delle esperienze prima e subito dopo il
parto ha portato a una vera rivoluzione nella comprensione di come si sviluppa un individuo: è oggi ormai
chiaro che le esperienze precoci possono modificare, nel bene e nel male, l’intera vita di una persona, sia
dal punto di vista fisico che cognitivo e affettivo.
Sappiamo, ad esempio, che mangiare cibi sani, non bere e non fumare durante la gravidanza, leggere
insieme al proprio figlio, vivere in un ambiente non inquinato, avere spazi esterni dove portare il
bambino o la bambina o evitare lo stress, sono tutte buone pratiche per lo sviluppo dei bambini. Ma
questa è la teoria. La pratica ci dice che spesso ci sono molteplici ostacoli di natura sociale, politica ed
economica a tutti quei comportamenti virtuosi che sarebbero fondamentali. Si tratta di quelle condizioni
che rientrano nei cosiddetti “determinanti sociali” della salute, che sono definiti “le cause delle cause”
delle malattie.
Ma chi sono oggi le mamme? Oltre a essere sempre meno, sono anche sempre meno giovani e molte di
loro sono straniere. Più di 3 donne su 5, tra quante hanno partorito nel 2022, aveva tra i 30 e i 39 anni e
poco più di una su 10 (il 10,5%) ne aveva più di 40. Una madre su cinque ha cittadinanza non italiana.
Gli ospedali pubblici e privati sono il luogo dove per eccellenza vengono al mondo i bambini, ma anche in
questo caso non è tutto così semplice. I dati a livello nazionale ci dicono che la grande maggioranza dei
parti (89%) è avvenuto negli istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,8% nelle case di cura private
accreditate e solo lo 0,15% altrove. Nel 2010, però, è iniziato il percorso che doveva portare alla
chiusura dei reparti di maternità che effettuano meno di 500 parti l’anno e alla riduzione di quelli che ne
effettuano meno di 1000; sebbene la situazione sia migliorata, per molte madri non è ancora così facile
trovare il luogo adatto in cui far venire al mondo il proprio figlio e anche in questo caso si gioca la lotteria
della nascita: il biglietto che dice il luogo e il contesto in cui vivono i propri genitori è quello che spesso fa
la differenza anche nel modo in cui si nasce
E proprio quella lotteria della nascita lascia in mano al nuovo nato il suo biglietto. In Italia la povertà
assoluta colpisce più di un minore su 10 (13,8%) e nel 2023 erano 1,29 milioni i minori in povertà
assoluta. Nella fascia 0-3 anni la povertà assoluta è un fenomeno che interessa il 13,4% dei bambini e
delle bambine, privandoli quindi di fondamentali opportunità per crescere.
La povertà economica, poi, influisce anche sulla possibilità di seguire un’alimentazione sana ed
equilibrata e su quella di vivere in una casa calda e sicura. Nel 2023, l’8,5% dei minori di età inferiore ai 5
anni vive in famiglie che non riescono a garantire un pasto proteico ogni due giorni, con valori che si
aggirano tra il 6% e il 7% al Nord (6,1%) e al Centro (6,7%), ma che salgono al 12,9% nel Mezzogiorno. Ed
è sempre in quest’area che si registra la maggiore presenza (16,6%) di minori di 5 anni che vivono in
famiglie che non riescono a riscaldare adeguatamente l’abitazione, una percentuale che è più che doppia
rispetto a quella del Centro (7,3%) e quasi tripla rispetto a quella registrata nel Nord (5,7%) del Paese.
I primi tre anni di vita del bambino, dal punto di vista neurologico e sensoriale, sono in assoluto il periodo
più importante per costruire le basi del suo futuro. L’ambiente del nido offre un terreno fertile per il
pieno sviluppo delle potenzialità infantili, abbracciando un approccio che favorisce sia lo sviluppo
cognitivo che quello sociale, creando una base solida per il futuro del bambino. Eppure, nonostante sia
chiara l’importanza di questo momento di crescita e sviluppo, sono ancora pochi i bambini che hanno la
possibilità di frequentarlo.
Sono infatti 205mila i bambini che hanno frequentato un nido o un altro servizio educativo per la prima
infanzia nell’anno 2022/2023, il 14,3% dei bambini di 0-2 anni ha potuto usufruire di un servizio a
titolarità pubblica e il 15,7% di un servizio a titolarità privata. Pochi, pochissimi. E perché?
Le motivazioni che portano i bambini a non frequentare il nido sono di vario tipo: può dipendere dai
costi, dalla lontananza dal servizio o dal fatto che la domanda per il nido non venga accettata.
Al di là delle singole motivazioni, pesa sicuramente anche la forte variabilità territoriale nell’offerta di
servizi educativi per la prima infanzia, che varia dal 12,2% (ogni 100 bambini nella fascia 0-2 anni) della
Campania al 40,3% dell’Umbria.
Alla luce di queste differenze territoriali, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha previsto
un investimento destinato ad accrescere l’offerta di servizi educativi per la fascia 0-6 anni che, dopo una
serie di revisioni, stanzia un totale di 3,2 miliardi di euro, con l’obiettivo specifico per la fascia 0-2 anni di
realizzare 150.480 nuovi posti. Questi investimenti consentiranno di accrescere l’offerta di servizi
educativi per la prima infanzia e raggiungere così una copertura pari al 41,3% a livello nazionale, ma
nonostante questo non riusciranno a colmare i gap territoriali esistenti. La Sicilia e la Campania
rimarranno infatti ancora sotto all’obiettivo del 33% di copertura.
Anche a fronte di questi investimenti, quindi, rimangono due criticità principali. La prima riguarda i divari
territoriali nell’offerta dei servizi, che non saranno compensati. La seconda concerne il finanziamento
della gestione dei nuovi posti creati, aspetto fondamentale per i Comuni e le famiglie. Infatti, se da un
lato ci sono Comuni che, tramite il Fondo di Solidarietà Comunale (FSC) ricevono risorse addirittura
superiori a quelle che servirebbero per coprire i costi di gestione dei nuovi posti creati, che ce ne sono
altri in cui le risorse del FSC non consentiranno di coprire neanche il 5% dei nuovi posti.
La cura, le attenzioni e l’empatia che i bambini e le bambine ricevono nei primi mille giorni di vita contano
moltissimo. Ma contano anche i luoghi in cui nascono e crescono. Essi hanno il potere di conferire un
imprinting positivo o negativo al corpo che si sviluppa, alla mente che si struttura, alle percezioni che
sorgono, ben prima della nascita, già nel grembo materno. I luoghi che contano sono quelli in cui si vive. È
l’ambiente naturale fatto di qualità dell’aria, di disponibilità di acqua, di territori più o meno esposti ai
disastri naturali, su cui l’azione dell’uomo ha inciso: cambiamenti climatici, suoli contaminati, isole di
calore, inquinamento atmosferico. Ma è anche l’ambiente costruito: la casa che si abita, il quartiere in cui
si vive, con la disponibilità o meno di servizi, di verde urbano, di luoghi per giocare, di trasporti per la
mobilità urbana. Gli spazi raccontano della cura per la cosa pubblica ma sono anche una geografia della
povertà e della marginalità, esibiscono la non equità di dove si nasce e si cresce.
Di conseguenza, fattori come l’inquinamento dell’aria o il cambiamento climatico hanno un forte impatto
soprattutto sui bambini, che sono più vulnerabili alla presenza di agenti inquinanti nell’aria o
all’incremento delle temperature.
E proprio sul tema dei cambiamenti climatici, l’Italia sta diventando un luogo piuttosto critico, in
particolare per i bambini. Un indicatore interessante per capire l’effetto del caldo sui bambini è la
temperatura superficiale rispetto alla quale i dati sono molto preoccupanti. A luglio, ben 239mila
bambini di età inferiore ai 5 anni che vivono nei capoluoghi di regione e nelle città metropolitane sono
stati soggetti a temperature superficiali pari o superiore a 40°(il 93,7% del totale dei bambini di 0-5 anni
che vivono in queste città).
I bambini coinvolti erano circa 250mila nel luglio 2019 e meno di 200mila in agosto 2019, poi nelle
ultime tre estati, dal 2022 al 2024, si è registrato un incremento sensibile, con circa 350mila bambini
piccoli esposti nel mese di luglio e 325mila nel mese di agosto.
Tuttavia, anche in questo caso, pur trattandosi di fenomeni che si abbattono su tutti i bambini, la
diseguaglianza emerge nella possibilità di dare una risposta adeguata a questi fenomeni. Ad esempio, tra
le soluzioni più efficaci per ovviare al problema delle isole di calore vi è lo sviluppo di infrastrutture verdi
urbane, ovvero gli spazi verdi e le zone umide multifunzionali, i tetti e le pareti verdi, le aree agricole e
foreste urbane, le vie ciclabili e navigabili con funzioni anche ambientali, le coperture permeabili, le
trincee drenanti, che possono abbassare le temperature fino a 5°C. Ed ecco che anche il cambiamento
climatico non è uguale per tutti, la capacità di beneficiare di questi servizi, chiamati di green cooling, da
parte dei cittadini è ancora relativamente diseguale e dipende dalle condizioni socioeconomiche dei
cittadini e del luogo in cui si trovano a vivere. L’“ingiustizia ambientale” che sta alla base dell’accesso alle
soluzioni di green cooling ci dice che i cittadini residenti a più basso reddito, quali gli inquilini, gli
immigrati e i cittadini disoccupati, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi di green cooling a causa
della sfavorevole conformazione urbanistica e sociale di molte città. Al contrario, i residenti ad alto
reddito, le persone con cittadinanza e i proprietari di case hanno usufruito di una fornitura di
raffreddamento superiore alla media.
Nonostante il continuo allarme “culle vuote”, al testardo gruppo di bambini e bambibe che si ostinano a
nascere in Italia non viene garantito tutto il necessario per crescere. I bambini tra zero e tre anni sono tra
i più poveri. Ad oggi meno di un terzo trova posto in asilo nido. Restano fuori soprattutto i bambini del
Sud e quelli in difficoltà economica. La sanità neonatale italiana è un’eccellenza, ma indagando da vicino
emergono gravi disuguaglianze. I piccoli sono colpiti anche dalla povertà ambientale: privati della
ricchezza di ecosistema e biodiversità (che il rinnovato articolo 9 della Costituzione ci impone di
salvaguardare “nell’interesse delle future generazioni”). L’Atlante esplora queste realtà con una lente
intersezionale, per rilevare i fattori di svantaggio che si sommano e si sovrappongono, intrappolando
bambini e bambine negli anni decisivi. Anni decisivi: perché, alla nascita, ogni bambino è un “miliardario”
della mente.
La cura dei piccoli rimane ai margini dell’impegno pubblico, in gran parte delegata a genitori e famiglie. I
nuovi “miliardari” rischiano di trovarsi presto espropriati delle loro ricchezze. Cosa servirebbe per
accogliere degnamente, come comunità responsabile, tutti i nuovi nati? Un sostegno capillare alla
genitorialità, percorsi nascita e pediatri, congedi parentali paritari, agevolazioni economiche, soluzioni
abitative favorevoli. E, ancora, visite domiciliari a neonati e genitori, asili nido accessibili e di qualità,
spazi di incontro, una rete educativa e di welfare territoriale con il contributo di terzo settore e aziende.
I diritti dei più piccoli dovrebbero guidare anche scelte su materie apparentemente più lontane, come
spazi urbani, tutela ambientale e mobilità.